L’inizio dell’attività mineraria nel complesso di Monteneve si perde nell’oscurità della storia. Il più antico accenno scritto di questa attività risale al 24 Dicembre 1237: in un documento notarile di Bolzano, redatto in latino, si fa riferimento a una compravendita di spade, in cui come mezzo di pagamento viene utilizzato l’argentum bonum de Sneberch, l’argento fino di Monteneve. Un intenso e sistematico fruttamento della zona mineraria, con estrazione di minerale di rame e di piombo/argento, si protrae per circa quattro secoli con alterne fortune. Nel 1486, periodo di massima fioritura, lavorano in miniera più di 1000 uomini: ciò è dovuto soprattutto alla grande richiesta del minerale di piombo/argento di Monteneve nella miniera d’argento di Schwaz, nella bassa valle dell’Inn. Il piombo argentifero di Monteneve risulta infatti particolarmente adatto per la segregazione della tetraedrite di Schwaz, dalla quale viene estratto una grande quantità di ottimo argento. Dopo la seconda metà del XV secolo scoppia una vera e propria febbre mineraria, come attestano le molte registrazioni nel libro delle concessioni di Vipiteno: negli anni dal 1481 al 1514 vengono date non meno di 3280 concessioni di scavo, di cui più di 500 solo per Monteneve. I beneficiari provengono da ogni categoria sociale e professionale: nobili impiegati, clero, imprenditori, artigiani, commercianti e contadini. L’industria mineraria di Monteneve arreca benessere generale e vivacizza la vita economica: regnanti, vescovi e potenti famiglie raggiungono, grazie allo sfruttamento delle miniere, grande fama e ricchezza. A partire dalla seconda metà del XVI secolo, in concomitanza con la crisi dell’industria mineraria, l’attività estrattiva a Monteneve si riduce progressivamente e ha inizio una fase di rapido declino: piano piano gli imprenditori svendono le loro proprietà minerarie, vengono chiusi diversi cantieri di coltivazione e parecchi minatori vengono licenziati. Intorno al 1630 nel complesso di Monteneve lavorano circa 160 operai, un ridimensionamento enorme rispetto ai mille lavoratori del 1486. Passano altri anni, la crisi viene superata e si arriva al 1713, data che segna il rifiorire dell’attività mineraria: esaurita l’estrazione massiccia di minerale di rame e di piombo/argento, s’intraprende quella del piombo. Nel contempo, con un’ingegnosità straordinaria per quell’epoca, viene sostituito il trasporto dei minerali, attraverso animali da soma con un impianto di trasporto a cielo aperto su rotaia: vengono così costruiti dei sistemi di piani orizzontali e di piani inclinati con i quali i minerali raggiungono il fondo della Val Ridanna, da dove vengono convogliati 14 Km più a valle per essere lavorati nella fonderia di Prati, all’imbocco della Val di Vizze (per un totale di oltre 27 Km di strada ferrata da Monteneve). Un grave ostacolo al buon funzionamento di questo sistema è però rappresentato dallo scavalcamento del Passo di San Martino Monteneve 2650 m, che nei rigidi mesi invernali diventa invalicabile. Per ovviare a questo impedimento naturale viene costruita, tra il 1720 e il 1726, la galleriaKaindl, un traforo lungo 730 m che mette in comunicazione la conca di Monteneve con la Valle di Lazzago. Questa galleria fa risparmiare ai minatori ben 200 m di dislivello, ma soprattutto li protegge in maniera definitiva dalle mortali valanghe invernali (anche se in origine è adibita al solo passaggio delle persone, nel 1858 viene ampliata per consentire il transito di carri e bestiame, e nel 1871 viene dotata di binari). Ma nemmeno questa sensibile abbreviazione del trasporto dei minerali è in grado di evitare una nuova fase di rapido declino: i costi eccessivi di mantenimento e la sopraggiunta povertà dei giacimenti metalliferi portano, nel 1798, alla chiusura delle attività in miniera. Passano gli anni e nel 1871, in base a una stima elaborata da una commissione di esperti minerari di Vienna, ha inizio una sorprendente ripresa dell’attività mineraria, in quanto si scopre che i giacimenti di Monteneve risultano particolarmente ricchi di blenda (o sfalerite), un minerale da cui si ricava lo zinco, metallo molto richiesto all’epoca e utilizzato in leghe come l’ottone. Con la riapertura delle miniere, la piccola conca di Monteneve si colloca tra i giacimenti più importanti di tutto l’arco alpino (con oltre 150 km di gallerie) e diventa il più alto polo minerario d’Europa (estendendosi a un’altitudine che arriva a 2550 m). Vengono costruite nuove gallerie e sorgono arditi impianti di trasporto, mentre nei pressi di Masseria in Val ridanno, s’inaugura un moderno stabilimento per la frantumazione, il lavaggio e l’arricchimento del minerale estratto dai giacimenti. Dopo la prima guerra mondiale, la proprietà del complesso minerario passa dallo Stato austriaco allo Stato italiano, che a sua volta lo dà in appalto alla SAIMT (Società Anonima Imprese Minerarie Trentine). Con ingenti oneri finanziari, questa società rinnova completamente gli impianti e costruisce una teleferica a carrelli, lunga 16 Km, che dalle miniere di Monteneve scavalca il Passo di San Martino Monteneve e scende lungo la valle di Lazzago fino a Masseria. Grazie alla messa in funzione di questa teleferica si rende possibile, per la prima volta, il trasporto del minerale da Monteneve a Masseria durante tutto l’anno, anche se d’inverno tormente di neve, abbondanti nevicate e valanghe provocano inevitabili interruzioni, sottoponendo uomini e materiali a dure prove. Nonostante tutte le risorse profuse e i notevoli investimenti, il destino segue il suo corso: il sensibile calo del prezzo dei metalli sul mercato mondiale rende la miniera di Monteneve assai poco redditizia, per cui nel 1931 il complesso minerario viene chiuso ancora una volta e gli operai licenziati. Una fugace ripresa dell’attività si ha intorno agli anni ’50: le miniere vengono rilevate dalla società AMMI (Azienda Minerali Metallici Italiani), che prende in considerazione l’idea di abbandonare il villaggio minerario di San Martino Monteneve e di accedere al giacimento metallifero dalla parte della Val Ridanna. Viene così iniziato nel 1962 lo scavo della galleria Poschhaus, nella Valle di Lazzago, lunga 3,6 Km e lungo la quale viene raggiunto, nel 1967, il giacimento principale. Il 16 giugno 1967 un grande incendio (di probabile natura dolosa) distrugge la grande casa dei minatori a San Martino Monteneve. Dopo questo incendio i minatori abbandonano Monteneve e si trasferiscono in Val Ridanna a Masseria, sede dell’impianto di arricchimento del minerale. Qui in precedenza erano già state edificate le nuove case dei minatori ed era stato costruito un grande edificio di amministrazione e di abitazione con diversi “appartamenti sociali”. Da Masseria per raggiungere il posto di lavoro, i minatori utilizzano una cabinovia che risale la Valle di Lazzago fino a quota 2000, da dove proseguono all’interno di una galleria artificiale in gran parte sotterranea che porta a sua volta all’imbocco della galleria Poschhaus: da qui con il trenino della miniera i minatori penetrano all’interno della montagna e raggiungono direttamente il giacimento principale. Anche la via di trasporto del minerale viene profondamente semplificata: attraverso la galleria Poschhaus il minerale arriva direttamente a un nuovo grande impianto di frantumazione con un grande silo, da cui scende a Masseria grazie a una teleferica. Nonostante notevoli investimenti e innovazioni ingegnose, gli alti costi di produzione impediscono di reggere la concorrenza sul mercato mondiale, dove si verificano continui ribassi dei prezzi del piombo e dello zinco. La chiusura delle miniere sembra ormai un evento ineluttabile: ancora alcuni anni di incertezze, caratterizzati da laboriose e molteplici trattative tra sindacati, enti pubblici e direzione della ditta, e nel dicembre 1979 si giunge alla cessazione della coltivazione del minerale. La maggior parte dei minatori viene messa in cassa integrazione; rimangono sul posto di lavoro circa 45 minatori, addetti alla ricerca in profondità di giacimenti redditizi. Nonostante i risultati delle trivellazioni esplorative appaiono soddisfacenti, la direzione dell’ultima ditta, la SAMIM (Società Azionaria Minerario metallurgica) decide, il 5 maggio 1985, dopo 800 lunghi anni di storia mineraria, la chiusura definitiva delle miniere. I minatori vengono licenziati, tranne 5: questi ultimi 5 operai si riuniscono nel 1986 in un consorzio e danno inizio a lavori di sgombero e di sicurezza delle aree minerarie delle gallerie Poschhaus e Karl, portandoli avanti sino al 1989. Si arriva così ai giorni nostri: oggi tutta la zona mineraria di Monteneve e di Ridanna è protetta e fa parte del Museo delle miniere Alto Adige Ridanna-Monteneve / Sudtiroler Berghaumuseum Ridnaun-Schneeberg che organizza, durante tutto l’anno, visite guidate di straordinario interesse.