La strada asfaltata che da Tovena sale al valico di passo San Boldo (strada provinciale 635), che sale verso la mezzeria del versante trevigiano della dorsale prealpina, ha una storia recente e sofferta, ma al tempo stesso emblematica. Il suo aspetto attuale, ordinato, curato, con tornanti in galleria e impianto semaforico che ne regola il transito a senso unico alternato, non rende l’idea della sua storia, ma anche del suo aspetto e del suo assetto fino a pochi anni fa.
La strada, che affronta un famoso tratto a stretti tornanti in galleria, è infatti un’eredità della Prima Guerra Mondiale; un’eredità lasciata dal “nemico”, una sorta di “bottino di guerra”, o se si vuole, un “risarcimento” per le pene sofferte dalle oltre settemila persone che alla sua realizzazione lavorarono. Il percorso di collegamento attraverso la valle del torrente Gravon, tra la pedemontana trevigiana e la Val Belluna era presente in forma di sentiero da epoche storiche-antiche e probabilmente preistoriche. Già sul finire dell’Ottocento, tuttavia, l’esigenza di una rotabile che consentisse un trasferimento più rapido e agevole di merci, animali e uomini tra i due versanti, si era manifestata come attuale e pressante. La scarsa disponibilità di risorse e la difficoltà tecnica di un progetto che si preannunciava ardito e non privo di incognite doveva comunque dilazionare i tempi fino allo scoppio del conflitto.
Proprio nel pieno dello scontro bellico, con l’esercito invasore che doveva trasferire pezzi d’artiglieria pesante, truppe e vettovaglie dalla Val Belluna al fronte del medio Piave, la realizzazione della strada si prospettò in tutta la sua urgenza. Essa venne pertanto progettata da ufficiali del Genio Zappatori Austro-Ungarico al comando del colonnello Nikolaus Waldmann e realizzata nell’arco di soli cento giorni (inizio lavori 1 Febbraio 1918; conclusione 1 Giugno 1918); al punto da diventare una leggenda. La manodopera che, come si diceva, vide impegnati nel cantiere migliaia di persone, era composta da prigionieri russi, ma anche e soprattutto da donne, vecchi e ragazzi italiani. Anche in questo caso, come in quello della “Strada de la Fan” la paga in vitto quotidiano significava sopravvivenza.
Ciò che la politica e le risorse italiane non riuscirono a realizzare, riuscì all’esercito austro-ungarico e ai suoi principali alleati: la fame e, appunto, gli stenti, ovvero i disagi che affliggevano coloro che le vicende belliche avevano lasciato a presidiare le povere case della collina e della montagna.