La Frana del Vajont, staccatasi dalle pendici settentrionali del Monte Toc il 9.10.1963 alle ore 22 e 39, ha provocato gravi e diverse conseguenze che, a distanza di anni, solo parzialmente sono state sanate, in parte per l’effetto e l’opera dell’uomo ed in parte per il decorso spontaneo della natura.
L’enorme porzione di montagna, staccatasi e crollata repentinamente nel sottostante bacino, sconvolse e mutò drasticamente il paesaggio stesso; la gigantesca ondata, alta una cinquantina di metri e forse più, sbattendo casualmente lungo le sponde del lago e deviata dai costoni di roccia distrusse la borgate di Fraseign, Spesse, Pineda, Prada, Marzana e S. Martino, asportando le solide costruzioni di pietra squadrata fino alle fondazioni. Il villaggio dei tecnici e operai sorto nelle immediate vicinanze della diga, costituito da uffici, abitazioni, mensa, servizi vari tra cui un paio di esercizi commerciali, fu annientato e sepolto dalla montagna crollata. Il tutto per oltre duecento morti dei quali solo 17 furono ritrovati. I resti del villaggio degli operai sono ancora visibili e si possono visitare percorrendo un comodo sentiero che inizia proprio nei pressi della Diga del Vajont: il “Trui de la Moliesa”.
L’ondata al suo passaggio erose i boschi e i coltivi, distrusse ogni opera umana come strade, ponti, impianti tecnologici, etc. Per molti mesi sul lago, che paurosamente continuava ad alzarsi minacciando gli abitati risparmiati dall’ondata, galleggiarono, ricoprendolo, ogni tipo di macerie, legnami e masserizie, assieme a resti di animali in putrefazione. Per scongiurare il pericolo che il lago innalzandosi sommergesse il paese di Erto e tracimasse oltre la sommità della frana, fu necessario pompare l’acqua oltre il Passo S. Osvaldo attraverso grosse idrovore facendola defluire nel torrente Cellina.
Questo deflusso innaturale durò per qualche anno, fino a che non fu ripristinata la galleria di fondo (by pass) sommersa e in parte danneggiata dalla frana; così fu possibile ripristinare il deflusso idrico nella valle del Piave e svuotare il lago rimasto.
Lo svuotamento del lago, se da una parte ha scongiurato il pericolo, ha messo a nudo le sponde della valle e la parte più a monte del fondovalle reso lunare e allucinante dalle erosioni, dalla totale mancanza di vegetazione e dalla melma del fondo.
Le conseguenze e gli effetti di questi eventi, soprattutto per quella parte di popolazione superstite di Erto che ostinatamente e coraggiosamente ha scelto e lottato per continuare a vivere nella valle di origine, non sono mai state adeguatamente valutate e considerate. Solo dopo lo spettacolo teatrale di Marco Paolini, portato in giro per le piazze e trasmesso in televisione e la realizzazione del film “Vajont” di Renzo Martinelli l’opinione pubblica, ma anche la gente comune, si è sensibilizzata e interessata maggiormente al problema Vajont.
La più evidente conseguenza resta comunque e sarà sempre il mutamento del paesaggio e lo sconvolgimento anche geografico e morfologico dei luoghi; dove c’era una profonda valle ora c’e una montagna, dove c’era un grande lago resta una valle erosa e dissestata, al posto dei prati e delle casere abitate del Toc c’è un’enorme lastronata di pietra bianca.
Con il trascorrere degli anni gli agenti atmosferici e madre natura hanno rimediato in parte al dissesto, infatti le acque si sono rimodellate gli alvei di scorrimento ricostituendo in parte la rete idrica, la vegetazione pioniera gradualmente ha ricolonizzato rinverdendoli i pendii e i versanti, dove l’humus e il substrato lo consentono sono nate varie specie arbustive e arboree e anche la fauna ha ripreso possesso del territorio.
Il Parco delle Dolomiti Friulane ha ritenuto di inserire nel suo territorio l’area della grande frana in quanto questa è ritenuta un fenomeno di interesse geologico unico al mondo.
E’ stato allestito ad Erto un Centro Visite che ospita la mostra fotografica sulla catastrofe del Vajont “Uno spazio della memoria”. Viene descritta in modo preciso e scientifico l’intera vicenda che ha colpito le genti di Erto e Casso e Longarone. Oltre ai pannelli descrittivi si possono consultare tabelle, grafici, confrontare plastici illustrativi, mentre un cd-rom permette di avere una visione globale sulla catastrofe e di osservare la ricostruzione grafica della frana e filmati originali dell’epoca.